Scipione nelle Spagne, Vienna, van Ghelen, 1722

 ATTO SECONDO
 
 Sala di arme.
 
 SCENA PRIMA
 
 CARDENIO, TREBELLIO e poi SCIPIONE
 
 TREBELLIO
 Prence, libero sei.
 CARDENIO
                                    Grave disastro
 non minaccia per poco; e a Roma ignoto
 non è Cardenio.
 TREBELLIO
                                E pur lo toglie a’ ceppi
570di Scipio il cenno.
 SCIPIONE
                                    E di Tersandro il voto. (Scipione sopragiugne)
 CARDENIO
 M’hai vinto, o duce, e con l’onor difeso
 e coi lacci disciolti. Altro non posso
 renderti in guiderdone
 che un grato ossequio, un’amistà sincera.
 SCIPIONE
575Vittoria a me più cara,
 perché men perigliosa e meno incerta.
 Nemico a forza vinto,
 nemico è ancora. In lui
 l’odio non muor, se ben la forza è doma;
580 e se vinco così, più vinco a Roma.
 CARDENIO
 Ma quel Tersandro...
 SCIPIONE
                                         Attendi. Al campo, o fido, (Prima a Cardenio e poi a Trebellio)
 va’ tosto. I tuoi raccogli e Marzio osserva.
 L’alma conosco torbida e proterva.
 TREBELLIO
 
    Minaccerà le sponde
585il torbido torrente
 ma non le inonderà.
 
    Che a l’impeto de l’onde
 un argine possente
 la fede e la costanza oppor saprà.
 
 SCENA II
 
 SCIPIONE, CARDENIO e LUCEIO
 
 SCIPIONE
590Vieni, Tersandro. Il prence
 eccoti in libertà. Serbai la fede
 e due cori acquistai con un sol dono.
 LUCEIO
 E se libero egli è, tuo amico io sono.
 CARDENIO
 Generoso Tersandro,
595sol tua virtude a mio favor ti mosse.
 Io per te nulla oprai; né di quel volto
 vestigio alcun tengo ne l’alma impresso.
 LUCEIO
 A te anche ignoto era Luceio istesso.
 Io seco ognor pugnai.
 SCIPIONE
                                          Vien Marzio. Udiamlo
 
 SCENA III
 
 MARZIO e detti
 
 MARZIO
600Un disperato amore
 mi trasse, o duce, oltra il dover ne l’ira.
 È ver. Perdona. Avea perduto Elvira.
 SCIPIONE
 Questa sola discolpa
 tolse molto al tuo error, molto al mio sdegno.
605Or discolpa maggior n’è il tuo rimorso.
 MARZIO
 Cardenio mi oltraggiò. Più non n’esigo
 la vendetta e ’l riparo.
 Godo che sciolto e’ vada;
 e un fratello di Elvira ancor mi è caro.
 SCIPIONE
610In Marzio or sì ravviso un cor romano.
 MARZIO
 Ma non Marzio in Scipion. Benché sì chiara
 la fama tua sta d’atre nebbie involta.
 SCIPIONE
 Come? Di che son reo?
 MARZIO
                                             Soffrilo; e ascolta.
 CARDENIO
 Che ardir!
 LUCEIO
                       Che sofferenza!
 MARZIO
615Sofonisba è ’l tuo amore, Elvira il mio.
 Questa è mia spoglia; e tuo possesso è quella.
 Sono pari gli affetti,
 pari le leggi. E pur mi è tolta Elvira,
 perché con l’amor mio la disonoro.
620Ma in tuo poter, benché tu n’arda amante,
 Sofonisba ritieni.
 So che puro è ’l tuo foco e che non entra
 in petto di Scipion vile disio.
 Ma non così ne parla
625l’ignaro vulgo, i più sublimi avvezzo
 nobili affetti a misurar dai suoi.
 Se giusto sei, se l’onor tuo ti è caro,
 se quel di Sofonisba,
 giudica col rigore,
630con cui giudichi gli altri, anche te stesso.
 O di un caro possesso
 priva il tuo amore o ancor l’altrui consola.
 O con tua pena o a mio favor risolvi.
 O rendi Elvira o Sofonisba assolvi.
 SCIPIONE
635Olà, qui Sofonisba.
 CARDENIO
 (Che sarà mai?)
 LUCEIO
                                 (Di te si tratta, o core).
 MARZIO
 Pianga, se il mio non gode, anche il suo amore.
 SCIPIONE
 
    Povero core,
 s’ha da penar.
 
640   Ma nel tuo stesso
 più fier dolore
 che sei mio core
 tu dei mostrar.
 
 SCENA IV
 
 SOFONISBA e detti
 
 SOFONISBA
 Eccomi al cenno.
 SCIPIONE
                                  Principessa, al primo
645folgorar de’ tuoi lumi arse quest’alma.
 Crebbe a le tue ripulse,
 qual per onda gran fiamma, il mio bel foco;
 e amai la tua virtù sin con mia pena.
 A sì vampa serena
650oppon livida nube ombre funeste.
 Salvisi il tuo decoro;
 e pera il mio piacer. Già da quest’ora
 libera ti dichiaro; e poiché sorte
 al tuo Luceio amato
655invida ti rapì (soffri, alma mia)
 tuo sposo...
 LUCEIO
                        (Ahi! Che dirà?)
 SCIPIONE
                                                         Cardenio sia.
 SOFONISBA
 Cardenio?
 LUCEIO
                       (O me infelice!)
 CARDENIO
                                                       (O me beato!)
 MARZIO
 (Generoso ei sarà ma sventurato).
 SCIPIONE
 Tersandro, di’. Fia questo
660un oprar con virtù? Biasmi od applaudi?
 LUCEIO
 O dio! Che fo? Lodo o condanno? Il primo
 fa torto a Sofonisba e l’altro al giusto.
 SCIPIONE
 Benefico un tuo prence e stai sospeso?
 LUCEIO
 Signor, ti loda assai stupor che tace.
665(Nascesti, o cor, per non aver mai pace).
 SCIPIONE
 E tu, bella, che pensi? Assenti o nieghi?
 SOFONISBA
 (Che dir dovrò? Manco a la fé se assento,
 se niego a l’onor mio).
 SCIPIONE
                                           Pensosa ancora?
 MARZIO
 Perde in Scipion con pena un che l’adora.
 SOFONISBA
670(Voce che mi trafige!)
 Scipio, sarò di chi m’impon la sorte.
 (Ma sarò di Luceio o pur di morte).
 SCIPIONE
 E tu, Marzio, in Scipione
 hai che più condannar?
 MARZIO
                                              Marzio ti ammira.
675Ma senti, ambo infelici:
 tu senza Sofonisba, io senza Elvira.
 
    Se non parto fortunato,
 parto almeno vendicato
 col piacer de le tue pene.
 
680   Pena pur che peno anch’io,
 io per te senza il cor mio,
 tu per me senza il tuo bene. (Parte)
 
 CARDENIO
 Quai grazie a te poss’io?
 SCIPIONE
                                               Prence, le devi
 tutte a Tersandro. Addio. (Se qui mi arresto
685con più lunghe dimore,
 vacilla la costanza e vince amore). (Parte)
 
 SCENA V
 
 SOFONISBA, LUCEIO e CARDENIO
 
 CARDENIO
 Bella, a la mia felicità non manca
 che il tuo consenso. Lascia
 che io vegga ne’ tuoi lumi un raggio amico.
 SOFONISBA
690Mirali; e in lor vedrai sol pianto e lutto.
 CARDENIO
 Il tuo estinto Luceio ancor t’ingombra
 l’anima innamorata.
 SOFONISBA
 E l’amerò dopo la tomba ancora.
 CARDENIO
 Ma che risolvi?
 SOFONISBA
                               O dio! Morir.
 CARDENIO
                                                          Cotanto
695un nodo a te dispiace?...
 SOFONISBA
 Deh! Non cercar di più. Lasciami in pace.
 CARDENIO
 E tu, caro Tersandro, a che sì mesto?
 LUCEIO
 Tu sei solo mio duol, tu mia sventura.
 CARDENIO
 Intendo. A te dà pena
700che Sofonisba a me sia cruda e ria.
 Ah! Se brami ch’io sia
 lieto ne l’amor suo, sveglia in quel core
 per me qualche pietà. Fa’ che più lieta
 si appressi ad una face...
 LUCEIO
705Deh! Non cercar di più. Lasciami in pace.
 CARDENIO
 
    Partir e non languir
 non posso, o caro amico,
 non posso, o dolce amor.
 
    Pur se mirassi in voi
710pupille più tranquille,
 saria la vostra pace
 conforto al mio dolor.
 
 SCENA VI
 
 SOFONISBA e LUCEIO
 
 SOFONISBA
 Fatta è la tua virtù comun sciagura.
 LUCEIO
 Sciagura esser non può s’è da virtude.
 SOFONISBA
715La tua pietà, che tolse
 Cardenio a’ ceppi suoi, ne fa infelici.
 LUCEIO
 Ricusargli un soccorso era fierezza.
 SOFONISBA
 Convenia di un rivale
 aver meno pietà.
 LUCEIO
                                  Fui generoso;
720e del mio ben oprar, cara, or ne sento
 dolor, non pentimento.
 SOFONISBA
 E puoi d’altri mirarmi?
 LUCEIO
 Questo solo pensier basta a svenarmi.
 SOFONISBA
 Ma che far pensi?
 LUCEIO
                                    Oprar da forte; e quando
725abbia fisso il destin che tu non possa
 a l’amor mio serbarti,
 piagner, penar, morir ma sempre amarti.
 
 SCENA VII
 
 SOFONISBA
 
 SOFONISBA
 O di amore o di onore
 crudelissime leggi! Aspri doveri!
730Ove mai mi traeste?
 Ne’ funesti sponsali uno perisce,
 l’altro è in periglio. Il mio consenso è un torto
 de la mia fede; e ’l mio rifiuto espone
 la mia fama al rossor ch’ami Scipione.
735Caro Luceio, irresoluta l’alma
 corre, dovunque pieghi, al suo naufragio.
 
    Così la navicella,
 che perde la sua stella,
 scherzo de’ sordi venti, errando vassi.
 
740   Incerta del suo fato,
 lunge dal porto amato,
 forza è che rompa alfin tra scogli e sassi.
 
 Galleria che riferisce a vari appartamenti.
 
 SCENA VIII
 
 ELVIRA e CARDENIO
 
 ELVIRA
 Tersandro?
 CARDENIO
                        Ei da Scipione
 mi ottenne libertà. Per lui mi è dato
745posseder Sofonisba. Ella è mia sposa.
 ELVIRA
 E Tersandro assentì?
 CARDENIO
                                         Vi applause e tacque.
 ELVIRA
 (Risorgete, o speranze).
 CARDENIO
 Ma di Tersandro al nome
 ond’è che impallidisci e ne sospiri?
 ELVIRA
750Più di quel che ne pensi alto è l’arcano.
 CARDENIO
 Siegui e m’apri il tuo cor.
 ELVIRA
                                                 L’amo, o germano.
 CARDENIO
 Che? Tu di regal tralcio
 germe sublime in bassi affetti?
 ELVIRA
                                                           Affrena
 i non giusti rimproveri. Non amo
755Tersandro in esso. Amo in Tersandro altrui.
 Amo nel finto il vero.
 Dirollo infine; amo Luceio in lui.
 CARDENIO
 Come? Luceio?
 ELVIRA
                               Il tuo rival, l’eccelso
 de’ Celtiberi prence, è desso, è desso.
 CARDENIO
760Morto non è? Son di stupore oppresso.
 ELVIRA
 Vive l’invitto. Io ben più volte il vidi;
 e mi costò il vederlo
 riposo e libertà.
 CARDENIO
                                Giovami e ’l lodo.
 Vanne e per me tutto confida e spera.
 ELVIRA
765Speme che è mio conforto o falsa o vera.
 
    Sia bugiarda o sia verace,
 sempre piace
 una speme che lusinga.
 
    A disio, che è tormentoso,
770ella è tregua od è riposo,
 rechi il bene o pur lo finga.
 
 SCENA IX
 
 CARDENIO e poi LUCEIO
 
 CARDENIO
 Gran virtù, se in Tersandro
 trovo il rival. Quanto opportuno ei giugne!
 LUCEIO
 (Ma se oprai con virtù, di che mi dolgo?)
 CARDENIO
775Non ti aggravi, o Tersandro,
 se da cupi pensieri io ti distolgo.
 LUCEIO
 Prence, che mi si chiede?
 CARDENIO
 A magnanimo petto
 non è ’l fregio minor l’esser sincero.
 LUCEIO
780Vile è chi niega il vero.
 CARDENIO
 Piacemi. Or di’. Ne l’ultimo conflitto
 Luceio non cadé?
 LUCEIO
                                   (Quale richiesta?)
 CARDENIO
 (Si turba).
 LUCEIO
                       Ei ne uscì illeso.
 CARDENIO
                                                       Entro Cartago
 ei spira in libertade aure di vita.
 LUCEIO
785È ver. (Sono scoperto).
 CARDENIO
 Né langue in lui la fiamma
 che in sen per Sofonisba amor gli accese.
 LUCEIO
 Non può spegnerla in lui tempo, né morte.
 CARDENIO
 (Ora, cor mio, sii generoso e forte).
790Ah principe! Ah Luceio! Il grado e ’l nome
 ben puoi mentir, l’alto valor non mai,
 che da l’opre, dal labbro e dal sembiante,
 quasi raggio per vetro in te traluce.
 Tu sei Luceio, il grande eroe...
 LUCEIO
                                                         Più tosto
795di’ l’infelice e grande
 sol ne’ suoi mali.
 CARDENIO
                                  In questi
 non si conti il mio amor, né l’odio mio.
 Mosso tu da l’innata
 tua nobiltà, me di catene hai tolto,
800per te Scipio mi cede
 de’ miei voti il più caro, anzi de’ tuoi
 e a prezzo del tuo duol me fa beato.
 Ma nol sarò. Già sveno
 così belle speranze al mio dovere.
805Sofonisba ricuso. Amarla io posso,
 più non posso accettarla. Ella è tuo merto
 e tuo acquisto anche sia,
 in onta ancor d’ogni speranza mia.
 LUCEIO
 Cardenio, il solo bene,
810che tormi non poté fortuna avversa,
 era la mia virtù. Tu col gran dono
 mel vuoi rapir. Vil, se l’accetto, io sono.
 Godi pur...
 CARDENIO
                       No, del tuo
 magnanimo pensiero
815tu siegui il calle. Anch’io
 libero corro ove mi chiama il mio.
 LUCEIO
 Deh! Non voler...
 CARDENIO
                                  Giugne Scipione.
 LUCEIO
                                                                    O pene!
 (Sin ne l’altrui virtude odio il mio bene).
 
 SCENA X
 
 SCIPIONE e detti
 
 CARDENIO
 Signor, la sconoscenza,
820nota d’alma plebea, me non ingombri.
 Darmi ti piacque Sofonisba in sposa.
 Grande è ’l tuo don. L’amo e l’amai; ma il tolgo
 al più tenero amante, ad un cui deggio
 quanto posso dover. Soffri la forza
825del mio rifiuto; e Scipio non si offenda
 che per mia gloria un suo favor gli renda.
 SCIPIONE
 Che invitto core! In Sofonisba ei vede
 l’amor di Scipio e, solo
 per piacer d’esser grato, a me la cede.
830Cardenio, onoro il nobil atto e l’amo;
 ma Scipion non ritoglie
 ciò che già diede.
 CARDENIO
                                   Offrir tu ’l puoi, ma tutta
 è mia la libertà del ricusarlo.
 SCIPIONE
 Anche un rifiuto è offesa.
 CARDENIO
                                                 Il mio dovere
835ama più l’onor mio che il tuo piacere.
 LUCEIO
 (Contesa illustre!)
 SCIPIONE
                                    Amico,
 tu giudice ne sii. Che oprar dobbiamo?
 LUCEIO
 Risponderò qual deggio (e non qual bramo).
 L’onesto oprar libero è sempre; e fora
840contrastarlo ingiustizia.
 Da generoso opra Cardenio e ’l muove
 la sua riconoscenza.
 Tu vietarlo non puoi, perch’egli è grato,
 tu sdegnarti non puoi, perch’egli è giusto.
845Saria tua colpa amar ch’ei fosse ingrato.
 Saria tuo scorno impor ch’ei fosse ingiusto.
 SCIPIONE
 Resto convinto; e ’l tuo rifiuto accetto.
 CARDENIO
 (Ho vinto, sì, ma ’l cor mi langue in petto).
 
    Se amerò senza speranza
850con più merto anche amerò.
 
    Non si pregi di costanza
 un amor che sperar può.
 
 SCENA XI
 
 SCIPIONE e LUCEIO
 
 SCIPIONE
 La mia gloria e ’l mio core ecco in periglio.
 Sovvienmi, amico, e tua amistà mi vaglia
855di ragione e di merto.
 LUCEIO
                                           In me costante
 ne troverai la ricordanza e l’opra.
 SCIPIONE
 Privo di Sofonisba
 viver non posso. Il ritenerla è colpa.
 L’allontanarla è morte.
860Solo un nodo pudico essermi puote
 e discolpa e rimedio.
 LUCEIO
 (Che ascolto?)
 SCIPIONE
                             Ah! Per la nostra
 sacra amistà, tu, che l’hai tolta a l’onde
 e che caro le sei perché ti è grata,
865vanne e fa’ ch’io non provi
 l’onta e ’l rossor di un suo disprezzo.
 LUCEIO
                                                                    Io, duce?
 SCIPIONE
 Sì, confido al tuo zel l’alta mia sorte
 e mi reca, se m’ami, o vita o morte.
 LUCEIO
 (Anche questo, o destin?)
 SCIPIONE
                                                 Di’ che rispondi?
 LUCEIO
870Ubbidirti, o signor.
 SCIPIONE
                                      Caro Tersandro.
 
    Vanne, convinci, priega
 quell’alma ria per me
 e di nemica mia falla mia sposa.
 
    Ma pria con questo amplesso
875prendi il mio core istesso,
 quel cor che tutto in te vive e riposa.
 
 SCENA XII
 
 LUCEIO
 
 LUCEIO
 O fede! O gratitudine! O amistade!
 Con qual impeto a’ danni
 del misero amor mio tutte vi uniste?
880Pur non bastava. Il core
 doveasi armar contra il mio core istesso
 e farsi suo carnefice e tiranno.
 Per me sarà un rivale
 possessor del mio ben? Per me fia tratto,
885quasi vittima a l’ara, il mio bel nume?
 E potrò farlo? E lo promisi? E vivo?
 E del povero cor non ho pietade?
 O fede! O gratitudine! O amistade!
 
    Infedele, crudele ed ingrato
890mi dirà quel labbro amato
 ed amor ne piagnerà.
 
    Ma pensando che fui generoso,
 troverò qualche riposo
 e la gloria il soffrirà.
 
 Giardini a’ quali si scende da una gran loggia, sopra la quale sono altri giardini.
 
 SCENA XIII
 
 MARZIO
 
 MARZIO
895Scipio sia generoso. Io sono amante.
 La mia Elvira qui spesso il piè rivolge.
 La rapirò, la trarrò al campo ed ivi
 meglio custodirò ciò che è mio acquisto.
 Me l’ottenne il valor. Roma il concede;
900né può tormi Scipion la mia mercede.
 
    Pensieri di amante
 vi voglio più audaci.
 
    Di un vago sembiante
 sol l’alma ho ripiena.
905E quando sei pena,
 virtù non mi piaci. (Si ritira)
 
 SCENA XIV
 
 SOFONISBA e poi LUCEIO
 
 SOFONISBA
 Sì, godi, o cor; sì, respirate, affetti.
 Cardenio, egli poc’anzi
 ve ne accertò, l’infausto laccio infranse.
 LUCEIO
910Sofonisba, mio bene,
 decreta il cielo; e a noi soffrir conviene,
 io tuo non posso, esser non puoi tu mia.
 SOFONISBA
 Eh! Più Cardenio il tuo dolor non sia.
 Sua più non sono.
 LUCEIO
                                    Men funesto e rio
915non è il nostro destino.
 SOFONISBA
 Chi ’l può turbar?
 LUCEIO
                                    Luceio.
 SOFONISBA
 Luceio è ’l mio conforto.
 LUCEIO
 Non dir così, quando sciagure apporto.
 SOFONISBA
 Sciagure? E tu le arrechi?
 LUCEIO
920Vuol così ’l ciel. Così ’l dover l’impone.
 Esser dei... Lo dirò?... Sì... Di Scipione.
 SOFONISBA
 Io di Scipion?
 LUCEIO
                             Di lui che t’ama, o cara.
 Di lui che ti sospira e che n’è degno.
 È questo il tuo destin. Questo è ’l mio impegno.
 SOFONISBA
925Crudel! Tuo impegno ancora?
 LUCEIO
                                                         E te ne priego.
 SOFONISBA
 Taci. Volermi d’altri
 è un dir che non mi amasti e che non m’ami.
 È un creder ch’io non t’ami o t’ami poco.
 E pur t’amo e lo sai,
930quanto si puote amar.
 LUCEIO
                                           Lo so e ten chieggo
 l’ultimo testimon. Sii di Scipione.
 SOFONISBA
 Pria di morte sarò.
 LUCEIO
                                     Col tuo rifiuto,
 che mi niega un piacer, più mi tormenti.
 SOFONISBA
 Tormento la virtù ma piaccio al core.
 LUCEIO
935(Tirannico dover, dove mi guidi?)
 Senti. Sii di Scipione o qual io sono
 suo rival, suo nemico a lui mi svelo.
 SOFONISBA
 O di te stesso e più di me tiranno,
 fermati e mi concedi un sol momento,
940perché almen fra due morti
 sceglier possa il mio cor la men crudele.
 Sacrificar qui deggio
 la tua vita o ’l mio amor. Deh! Per pietade,
 snuda l’acciaro e in questo sen l’immergi.
 LUCEIO
945(Intenerir mi sento).
 SOFONISBA
 In questo sen, dove si chiude un core,
 pegno immortal di mio pudico amore.
 LUCEIO
 Ecco Scipion. Luceio è risoluto.
 Sofonisba risolva. O cedi o parlo.
 SOFONISBA
950No... Digli... O dio!
 LUCEIO
                                     Che sua sarai.
 SOFONISBA
                                                                 Disponi
 di me qual brami. In sì martiri immensi
 ciò ch’io voglia non so, né so ch’io pensi.
 
 SCENA XV
 
 SCIPIONE e i sopradetti
 
 SCIPIONE
 Incerto di sé stesso
 sta in pena l’amor mio. Tu ne decidi
955l’ultima sorte, amico. (Luceio si avanza verso Scipione e Sofonisba sta come in disparte)
 LUCEIO
 (O dio!) Leggi, o signor, su quel bel volto
 la tua felicità. Tua è Sofonisba.
 SOFONISBA
 (Crudel!)
 SCIPIONE
                     Mia Sofonisba?
 LUCEIO
 A’ miei prieghi, al tuo merto
960cedé quel cor.
 SCIPIONE
                            Me fortunato!
 LUCEIO
                                                        Dillo, (A Sofonisba)
 dillo tu stesso ancor, labbro amoroso;
 chiamalo tuo signor, dillo tuo sposo.
 SOFONISBA
 (L’odo e resisto?)
 SCIPIONE
                                   E sarà ver che alfine (Accostandosi a Sofonisba)
 Scipio a Luceio in quel bel cor succeda?
965Non mel tacer. Non mi celar quegli occhi. (Sofonisba rivolge gli occhi ad altra parte, piangendo)
 E lascia che da loro,
 quanto puossi goder, ne’ miei trabocchi.
 SOFONISBA
 Scipion... (Più dir non posso). (Sofonisba si volge a Scipione e poi fa lo stesso che prima)
 LUCEIO
                                                          Ella mi accora.
 (Ma si adempia il trionfo e poi si mora). (Luceio si mette in mezzo a Scipione e a Sofonisba)
 SCIPIONE
970Tersandro, onde quel pianto?
 Onde mai quel silenzio?
 LUCEIO
                                               A’ tuoi diletti
 non si oppone, o signor, che il suo Luceio.
 SCIPIONE
 Luceio è morto.
 SOFONISBA
                                E tutta, (A Scipione)
 tutta m’empie di lui la sua memoria.
 LUCEIO
975No, di’ la fiamma sua. Vive quel prence.
 SCIPIONE
 Vive Luceio? (A Sofonisba)
 SOFONISBA
                            È vero (A Scipione)
 ma ne l’anima mia ch’era suo spirto.
 (Caro, non ti scoprir). (Piano a Luceio)
 LUCEIO
                                            Vive in Cartago, (A Scipione)
 anzi al tuo fianco; e tu lo vedi e ’l senti.
 SCIPIONE
980Dove? Come?
 SOFONISBA
                             (O perigli!) Eccolo, o duce.
 In quest’occhi lo vedi, ancor ripieni
 de l’imagine sua. Ne’ miei lo senti
 mesti sospiri. (Abbi di me pietade). (Piano a Luceio)
 (Scipione si mette in atto pensoso)
 LUCEIO
 Dover mi sforza. O corrispondi o parlo. (Piano a Sofonisba)
 SOFONISBA
985(Empia necessità!)
 SCIPIONE
                                      Dunque morranno (Come da sé)
 così le mie speranze? E Sofonisba,
 benché prieghi Tersandro, è ancora ingiusta.
 LUCEIO
 Che tardi più? Proconsolo di Roma... (Piano a Sofonisba poi a Scipione)
 SOFONISBA
 (Ei si perde).
 LUCEIO
                            Io quel sono...
 SOFONISBA
990Quegli tu sei che a l’onde
 mi togliesti pietoso.
 D’alor nel tuo voler, ben mi sovviene,
 deposi il mio. Più non contendo e serbo
 la data fede. Ei tua mi vuole, o duce,
995e tua sarò.
 LUCEIO
                      (Son morto).
 SCIPIONE
 Care voci, voi siete il mio conforto.
 SOFONISBA
 Sì, tua sarò. Se poi verrà quel giorno (Piano a Scipione, poi a Luceio)
 che a te spiaccia, o Tersandro, il fatal nodo,
 nodo che offende il tuo Luceio e ’l mio,
1000te sol ne accusa e di’:
 «Sofonisba era fida
 ed io, in onta di amor, volli così».
 
    Se mai quell’alma amante
 si lagnerà di me,
1005rigetterò su te la mia discolpa.
 
    Io le serbai costante
 amore e fedeltà,
 sinché la tua amistà si fe’ mia colpa.
 
 SCENA XVI
 
 SCIPIONE e LUCEIO
 
 SCIPIONE
 Quanto ti deggio! Ad affrettar men vado
1010del felice imeneo
 le vittime e la pompa.
 LUCEIO
 Va’. (Il cor vien meno).
 SCIPIONE
                                             E tu, mio caro, alora
 ne accrescerai con la tua vista il pregio.
 Parmi sol nel tuo aspetto
1015e più certo e più grande il mio diletto.
 
    Lieti amori,
 mirti e rose ai verdi allori
 intrecciatemi sul crine.
 
    Le soavi mie speranze
1020a goder son già vicine.
 
 SCENA XVII
 
 LUCEIO ed ELVIRA
 
 LUCEIO
 Hai più strali, o fortuna? Hai più sciagure?
 ELVIRA
 Principe... Non ti turbi
 che tu noto a me sia. Di Sofonisba
 spesso al fianco ti vidi.
 LUCEIO
                                            E ’l tuo bel volto
1025non è straniero a le mie luci, Elvira.
 ELVIRA
 So qual sei, qual ti fingi
 e ne morrei pria che tradir l’arcano.
 LUCEIO
 Né diffido di te.
 ELVIRA
                                Tu del germano
 sciogliesti le catene e ti son grata.
 LUCEIO
1030Hai nobil cor.
 ELVIRA
                            Ma questo cor, sì questo,
 di catena aggravasti
 più forte e più pesante.
 LUCEIO
 Così fa perché grato.
 ELVIRA
                                        E perché amante.
 
 SCENA XVIII
 
 MARZIO e i sopradetti
 
 LUCEIO
 Amante?...
 MARZIO
                       (Ecco l’ingrata. (Si ferma in disparte)
1035Seco è Tersandro. Attenderò ch’ei parta).
 ELVIRA
 Già da l’incaute labbra
 mi uscì l’arcano e ritrattar nol posso.
 T’amo.
 MARZIO
                (Che sento?)
 ELVIRA
                                          Ed a l’amor pudico
 fan coraggio e discolpa
1040l’alto tuo merto ed il fraterno assenso.
 LUCEIO
 (Che le dirò?)
 MARZIO
                             (L’odo? La soffro? E taccio?)
 ELVIRA
 Né mercé te ne chieggio. A la mia fede
 la gloria de l’amarti è assai mercede.
 MARZIO
 (Più resister non posso). Odi la bella
1045inimica d’amor, come favella!
 ELVIRA
 (Aimè!)
 MARZIO
                   Ti udì, ti udì quel Marzio, ingrata,
 non dal tuo onor ma dal tuo basso affetto
 vilipeso e negletto.
 Ti udì tradir del tuo natal la gloria.
1050Ti udì posporre a vil soldato e servo
 l’alto imeneo di un cavalier romano.
 E questo è ’l tuo? Questo è l’onore ispano?
 ELVIRA
 Marzio, vile non è ciò che è mio voto.
 In quel Tersandro... (Ove trascorro?)
 MARZIO
                                                                     Siegui.
 ELVIRA
1055(Tacciasi e non si esponga
 a periglio il mio ben).
 MARZIO
                                           Non hai difesa,
 o indegna del tuo grado e del mio amore.
 LUCEIO
 Marzio, tu indegno sei, tu mentitore.
 E quest’acciar vendicherà le offese (Dando di mano alla spada)
1060di una real donzella.
 MARZIO
 Su, principi da te la mia vendetta; (Facendo lo stesso)
 e nel tuo sangue, uom vile,
 trovi di che arrossir quell’alma ria. (Accennando Elvira)
 LUCEIO
 Non è facil trofeo la morte mia. (Si battono)
 
 SCENA XIX
 
 SCIPIONE e i sopradetti
 
 SCIPIONE
1065Che miro? Olà. Cotanto
 di mia bontà si abusa?
 Contra un tribun l’ira si volge e ’l ferro?
 LUCEIO
 Questo ferro è tuo dono;
 né mi credea la prima volta in petto
1070roman vibrarlo. A questa
 necessità mi trasse
 il decoro di Elvira offeso a torto.
 MARZIO
 A torto? Odi e l’ibera
 virtù ammira, o Scipion. Costei, che altera
1075ributtò le mie fiamme, a quelle avvampa
 che le accese nel sen face plebea.
 Vedi, vedi in Tersandro
 il suo amatore, il mio rival. Lo nieghi,
 se ’l può, l’ingrata. Io qui l’udii, né l’ira
1080valsi a frenar.
 SCIPIONE
                            Tanta viltà in Elvira?
 Parla.
 ELVIRA
              (Tacer mi è forza. Amor tiranno!)
 LUCEIO
 Io parlerò. Viva la fama, o duce,
 di vergine real. Viva anche a costo
 del sangue mio, de la mia vita istessa.
1085Ama Elvira, il confesso;
 ma quell’amor che le riscalda il petto
 non è indegno di lei. Sa qual si asconde
 nel mentito Tersandro illustre oggetto.
 Sa qual ei nacque e sa ch’ei nacque al trono.
1090Sì, lo sa Elvira e seco
 Marzio il sappia e Scipion. Luceio i’ sono.
 SCIPIONE
 Tu Luceio? Di Roma
 tu ’l fier nemico?
 MARZIO
                                  E se quel sei fra poco
 ne pagherai la pena.
 ELVIRA
1095(Egli l’onor mi salva e ’l cor mi svena).
 MARZIO
 Signor, cotesto è ’l vanto
 de l’ispano valor, mentir sé stesso;
 ma se impunito al fianco
 vorrai soffrire il tuo nemico e ’l nostro,
1100Roma nol soffrirà. Vanno anco inulte
 mille e mille del Lazio ombre guerriere
 per lui cadute. Al campo
 vuolmi il mio zelo e la comun vendetta.
 Tronchisi ogni dimora:
1105e si acclami colà: «Luceio mora». (Parte furioso)
 
 SCENA XX
 
 SCIPIONE, LUCEIO ed ELVIRA
 
 SCIPIONE
 Tanto ardisti, o Luceio?
 LUCEIO
                                              In che mi accusi?
 ELVIRA
 (Preservatelo, o dei!)
 SCIPIONE
                                         Nome e fortuna
 mentir nemico? Entrar nel roman campo?
 Ne le stesse mie stanze?
 LUCEIO
1110Ma nulla oprai di che temere io possa,
 di che tu condannarmi.
 SCIPIONE
 Star mio rivale a lato
 di Sofonisba?
 LUCEIO
                            Anche rival, ti apersi
 strada a quel core e tuo lo feci.
 ELVIRA
                                                         (O caro!)
 SCIPIONE
1115Perché cederla a me?
 LUCEIO
                                          Perché amar deggio
 più di lei la mia gloria e ’l mio dovere.
 SCIPIONE
 (Somma virtù che fa arrossir la mia!)
 Vanne. Fuor de la reggia
 non trarre il piè. Colà ben tosto udrai
1120ciò che Scipio risolva.
 LUCEIO
 Qualunque sia del tuo voler la legge, (A Scipione)
 vedrai sempre Luceio,
 e me ne assolva l’amor tuo pudico, (Ad Elvira)
 fedele amante e generoso amico. (A Scipione)
 
1125   Tra un amico ed un’amante
 sino a l’ultimo respiro
 il mio cor dividerò.
 
    E spergiuro od incostante,
 non l’onore e non l’amore
1130per viltà mai tradirò.
 
 SCENA XXI
 
 SCIPIONE ed ELVIRA
 
 ELVIRA
 A difesa del misero Luceio
 qui ti parli, o signor...
 SCIPIONE
                                          No principessa,
 non ti è noto Scipion. Vedrà oggi il mondo
 quale egli siasi. Io farò sì che resti
1135del fatale amor mio chiara memoria;
 né mi sarà Luceio
 più rival ne l’affetto e ne la gloria. (Parte)
 ELVIRA
 
    Fremo, pavento, aggiaccio,
 m’occupa orrore e spasimo
1140nel rischio del mio ben.
 
    Anima, core, spiriti,
 se per destino barbaro
 con lui non si può vivere,
 per lui morir convien.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 Ballo di diversi lavoratori del giardino.